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Dall’atmosfera che circola tra quei tavoli e solo tra quelli? Oppure seguendo la traccia di una fama quasi leggendaria che spinge un giovane provinciale a varcare quell’ingresso col progetto di conquistare Madrid (e forse il mondo) con la sua prosa elegante e col dono del racconto che per la sua anima spagnola è destino? Già, perché se la sintassi è una facoltà dell’anima - come ricorda in esergo Paul Valery - Umbral ne ha da vendere. Di anima. E di sintassi che affabula.
Uno spirito mediterraneo comincerebbe dai mille volti che sono storie di mille vite che in quel Caffè cercano di ricostruire una propria leggibile mappa su qualche passione o illusione. Forse. È difficile decidere.
Allora si fa una cosa. Ci si lascia prendere sottobraccio da Francisco Umbral e si entra. Per la prima volta si entra al Café Gijón. E magari è proprio un sabato sera.
E dopo aver gettato uno sguardo intorno e aver familiarizzato col fumo, con le sagome delle persone riunite in tertulias , con quell’idea guascona che nel Gijón s’invola senza concedere replica ad alcuno (qui ci si trova nel centro delle lettere di Madrid e Madrid è il centro della Spagna e la Spagna è il centro di tutto) si prende una decisione.
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La letteratura. La letteratura su ogni cosa. Poche righe e si diventa amici di Miguel Mihura. Se non altro perché, anche senza aver letto niente di suo, si sente una irresistibile forza di attrazione nella sua economia di vita che, abbiamo capito, consisteva nel ridurre tutto al minimo. Capirete: leggeva solamente un genere, quello poliziesco (e non può mancare Simenon); e la sua semplicità ascetica è fatta per metà di timidezza e per metà di pigrizia.
Se poi ci si va a sedere un po’ più in là magari si fa in tempo a scambiare quattro chiacchiere con Ramón de Garciasol, ridondante e barocco, ma con sulle labbra continuamente Miguel de Unamuno e Antonio Machado e Manuel Azaña e Gerardo Diego con il mare di Santander che gli attraversa gli occhi. E lui che commette l’errore di sbattere le palpebre e quel mare gli vola via. E tutti i pomeriggi, sempre, con lui c’erano al Café il grande scomparso e il grande assente: Federico García Lorca e Rafael Alberti. E poi quell’altro, di cui adesso mi sfugge il nome, che crede in ogni cosa e ogni cosa lo inganna.
Perché il Gijón è davvero un porto di mare. E ognuno si porta appresso i propri destini. Che siano leggere Schopenhauer o Nietzsche o cercare il romanzo della vita. È così, al Gijón si naviga. E in questo navigare si incontrano poeti, scrittori, artisti, pittori trasversali oppure pietre miliari. Ma non i grandi mostri. Perché quelli bisogna andare a cercarli nelle proprie tane. Ramón Menéndez Pidal, per esempio. Poi Dámaso Alonso. O Vicente Alexaindre.
Ma poi si ritorna sempre al Gijón dove si ritrovano i vecchi repubblicani e i contumaci della resistenza. E là fuori c’è sempre il franchismo che aveva raggiunto il punto in cui il mondo lo tollerava per noia e ci si aspettava che cadesse da solo. E che non aveva solo messo in fuga o ammazzato gli scrittori, ma aveva anche regolamentato la cultura, forse senza proporselo esplicitamente, e ormai era impossibile far correre l’immaginazione a briglia sciolta. Proprio questo scrive Francisco.
Allora si capisce bene il valore assoluto del Café. Il suo essere un universo forse separato ma nel quale tutto trova spazio. Perché qui dentro c’è voglia d’arte e c’è voglia di vita. E c’è la passione di un momento o l’amore di una vita. Al Café Gijón ci sono le donne del Café Gijón. E come si fa a raccontarle? E di chi ci si innamora? Di Nazareth dal profilo misterioso, perfetto e delicato? O di María Jesus, l’efebica che beve vino e fuma tabacco scuro, dagli occhi neri e dalla bocca grande, infantile e spiritosa?
Forse di Lola, molto malata di cuore. Lei che qualsiasi cosa la emoziona e qualsiasi cosa la mette in pericolo. Lola a cui, ci racconta Francisco, di tanto in tanto per qualche decimo di secondo si ferma il cuore. E che vive queste morti ridotte, istantanee, in cui chissà dove se ne andava, ma poi tornava, magari senza che il suo interlocutore si fosse accorto di nulla. E questi ultimi due periodi sono l’anima e la sintassi di Francisco Umbral.
E tanto, ma tanto c’è da scoprire di Madrid centro della Spagna e della Spagna centro di tutto. E del Café Gijón dove, insieme a Francisco Umbral, siamo entrati per la prima volta una sera. Forse era un sabato. Ma che importa. Se siamo ancora seduti qui a parlare di libri e di quadri e di poeti e di scrittori e di donne e di amori.
(Francisco Umbral, La notte che arrivai al Café Gijón, traduzione di Giuliana Calabrese, Edizioni Settecolori)