C'è grande confusione sotto il cielo. Sotto il cielo delle mie letture, voglio dire.
Negli ultimi due post, ormai vecchi come il cucco, m'ero impegnato a parlare di questo e di quello. Non so di quanti autori e di quanti libri avrei dato ragione a chi ha la bontà e la pazienza di seguire questo blog.
Quante scoperte ci sono state in questi ultimi tempi, che nemmeno più me le ricordo.
E allora, per prendere il giusto avvio, parto dall'ultima in ordine di tempo. Una cara amica di Torino, grande lettrice, mi consiglia di leggere HHhH. Il cervello di Himmler si chiama Heydrich dello scrittore parigino Laurent Binet. La sua motivazione è convincente: poiché io sono un appassionato di storia e di letteratura e mi sono cimentato in un'opera di questo tipo (i cui esiti, ovviamente, io lascio a voi decidere, se avete tempo e voglia) il libro mi piacerà. Anche per una sua certa propensione metanarrativa. Certo, lei lo ha letto in francese (grande lettrice, dicevo), e chissà se la traduzione italiana riporta il tono e lo stile dell'originale.
Vedrò, mi dico. Intanto appena posso compro il libro e mi dedico alla ritualità che precede l'inizio della lettura. Sfogliare le pagine, odorarle, carezzare la copertina, concentrarmi sulla sua grafica, leggerne i risvolti. Vengo così a sapere due cose. La prima conferma il potenziale interesse per questo libro; la seconda mi getta un po' nello sconforto, e mi fa pensare che forse dovrei imparare l'arte di intrecciare canestri di vimini e ritirarmi da qualche parte sull'Appennino.
Ma procediamo con ordine.Vengo dunque a sapere che la storia raccontata è una storia nota. Ma io non la conosco. Cominciamo bene. Proseguo nella lettura: apparentemente nota. Ah, volevo dire. E la cosa mi rincuora un po'. Trattasi dell'attentato a Heydrich del 27 maggio 1942. Vabbè, dico, capirò. Comunque, capisco, Heydrich è tra gli ideatori (l'ideatore?) della Soluzione finale. Il macellaio di Praga, la bestia bionda. Occhei, i soprannomi mi paiono all'altezza. Romanzo storico, dunque. Che si fa guidare da una intenzione biografica. Bene, mi dico, è nelle mie corde. Ma lo dico tra me e me ché, confesso, usare un'espressione del genere in presenza di qualcuno mi costringe, poi, a ingurgitare chili di antistaminici.
Laurent Binet. Immagine tratta da http://www.librairie-paca.com |
E vediamo, vediamo, chi è mai questo Binet. E qui quella faccenda dei canestri di vimini balza in primo piano. Nato a Parigi nel 1972. 1972. Ma tu guarda, mi dico. Un ragazzino. Tra una pagina e l'altra poi scopro che questo libro lui se lo porta dietro addirittura da anni. Insomma, tutto questo giro di parole per non usare quella più appropriata. Rispetto? Bè, sì, anche. Stima? Mmhhh, sì, potrebbe andare...Potrebbe andare ma non è quella giusta. E allora? E allora invidia, signore e signori. Invidia per l'età. L'ho detta. Poi magari è anche bravo. E allora come la mettiamo?
Essì essì, è anche bravo. Gioca a voler dire che il romanzo è morto (lo aiuta il Mandel'stam in epigrafe) ma poi semina la sua narrazione di "suppongo", "non so se", "forse", "le mie visioni si mescolano talvolta ai fatti assodati" e via di questo passo. Scrive quasi tutta la prima pagina alternando affermazioni incontrovertibili, del tipo "è un personaggio realmente esistito", a slanci di fervida ricostruzione personale della realtà: "posso immaginare il numero del tram (ma forse è cambiato), il suo percorso...". Per cui già al primo paragrafo, smentendo e confermando (ah, il romanzo!) candidamente apre il suo cuore: "Spero solo che sotto la spessa patina d'idealizzazione che stenderò su questa storia leggendaria sia ancora possibile guardare attraverso il vetro trasparente della realtà storica".
Niente da fare. Questo libro devo leggerlo. E dunque eccoci dentro. Dentro alla Storia, dentro alla Narrazione, dentro al Romanzo che, udite udite, è vivo e lotta insieme a noi.
P.S.: Qualcuno più lucido di me circa le questioni relative al tempo e all'età, mi costringe a fare due conti due. Mi accorgo così che chi è nato nel 1972 ha giusto giusto quarant'anni "ormai" (eh, la saggezza femminile!). E che un uomo di quarant'anni non può essere definito "ragazzino". Mi rendo conto. Devo un po' regolare questa faccenda del rapporto con il mio tempo.
Benissimo, mi dice quella voce amata, ma non ora. Che ora ci sono i panni da stendere e la lavastoviglie da svuotare.
Benissimo, mi dice quella voce amata, ma non ora. Che ora ci sono i panni da stendere e la lavastoviglie da svuotare.
la tua invidia è ben riposta, ma sai meglio di me che ci sono vari esempi di bravi scrittori che hanno esordito in "tarda" età; quindi ad maiora !
RispondiEliminap.s.: puoi ribattere alla tua amata, che saluto, che il papà dell'estensore di questo commento, giunto ai settanta apostrofava come "guaglioni" i quasi sessantenni: allora non ne capivo il senso, ma solo allora. La verità è che le donne non ne vogliono sapere di invecchiare !
Il solito abbraccio dal vecchio Abate
Che bella recensione ! Invidia, sentimento che spesso condivido nelle stesse condizioni tue, davanti ad un giovane che arriva veloce dove a me ci sono voluti anni per metterci piede. E poi il rapporto col tempo. Parli molto di te in questa recensione , bello!
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