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Collaboro dal 1993 con la rivista "Segnocinema". Amo l'appennino pistoiese, l'Aglianico del Vulture, i miei amici. Tengo per il Toro, e sono un lettore pressoché onnivoro. Ho scritto due romanzi, 'Ho una storia per te' e 'L'odore della polvere da sparo', entrambi pubblicati da Edizioni Spartaco.

martedì 5 ottobre 2010

"L'abbiamo cresciuto noi!"

Pinocchio disegnato da Enrico Mazzanti
Certe volte vorrei essere più perspicace di quello che sono. Vorrei essere così intelligente da poter capire, subito e senza bisogno di costruire amene astrusità intellettuali, quanta parte di me è il frutto della mia passione per la lettura. Spesso me lo sono chiesto. La risposta è stata sempre una. Sempre la stessa. Ed è nel ricordo del primo libro che ho letto, con una voracità che forse non si è mai più ripetuta, all'età di sei anni.

A darmi la possibilità di accedere a una chiarezza equilibratrice è, come spesso accade, uno scrittore che amo molto. Nelle prime righe di Alfabeti Claudio Magris ci ricorda come il primo libro letto sia in qualche  modo destinato a rimanere per sempre il Libro. L'incontro con la parola che - scrive Magris -  contiene e insieme inventa la realtà.

Dopo aver letto queste righe di una semplicità malinconica e straziante, tutto mi si è rivelato. Pensate, a cinquantadue anni suonati. La mia propensione a fantasticare intorno a spazi piccoli; l'idea che il vasto mondo sia riconducibile a un microcosmo di appartenenza; l'incapacità di immaginare storie i cui protagonisti non abbiano facce note e storie conosciute.

Del mio primo libro - e dunque di quello che per me ha avuto il destino di rimanere il Libro - ricordo ovviamente la storia. In tutto e per tutto. I luoghi, le facce, i nomignoli, le inevitabilità del costrutto dialettale. E poi l'ansia - a tratti la disperazione - per le sorti di quel bambino senza madre. E con un padre che, senza più moglie, s'era costretto a fabbricarselo di legno, suo figlio. Ricordo i suoi desideri, che mi allettavano e che, già memore degli avvertimenti di mia nonna, mi terrorizzavano. I suoni e i colori della piccola piazza all'arrivo di un minuscolo circo o del teatrino dei burattini. Il paese dei balocchi, che di notte mi sognavo (scusate la formula sintatticamente scorretta) pieno di tutto quello che un bambino è capace di sognare. E poi l'ansiosa incertezza: lo vendo o non lo vendo il mio abbecedario? La scuola è dietro l'angolo, e lì rimarrà ancora domani e poi domani l'altro e poi ancora. Ma la festa ora è qui. E domani non ci sarà più.

Cosa potrà mai scegliere un bambino che non conosce la madre, e che pure la sogna e la cerca per le strade del mondo che sono al di là delle montagne che gli circondano la sua piccola città? Ma se il circo è qui, vuol dire che per oggi le strade del mondo sono qui. E allora non c'è altra scelta: l'abbecedario si vende, e ci si tuffa in quelle strade del mondo. Dove, dopotutto, ci sono gli amici, i fratelli con i quali quelle strade si percorreranno.

Già, e poi c'è anche Lucignolo a cui non bisogna prestare ascolto, dice ancora la nonna, ché porta sulla brutta strada. Brutta strada? Quella del desiderio di perdersi tra suoni, giostre, colori, giochi spensierati e senza fine? No, che non è quella la brutta strada. Semmai l'Omino di burro. Semmai il Gatto e la Volpe. Semmai i conoscitori e i manipolatori del mondo, sono da non seguire. Le loro strade sì che sono viscide e fangose. Non quelle del sognatore Lucignolo che rivendica la sua giusta parte di spensieratezza e di leggerezza della vita. Ma a quale prezzo. 

Ricordo la passione assoluta di quella lettura. Ore e ore e ore. Senza badare ai richiami perché era pronto da mangiare. Non potevo abbandonare quel mondo che, ora lo so, sarebbe diventato il mio mondo. La speranza e l'incertezza. La voglia di andare e quella di restare. Il desiderio della vita e la paura della vita. Lo struggimento del guardarsi e trovarsi per molto tempo diversi da ciò che si vorrebbe essere. E poi la tenerezza del cuore. L'amore assoluto in virtù del quale c'è chi è capace di mettersi su una minuscola barca, in un giorno di tempesta, e partire per le lontane Americhe. Alla ricerca di un Eldorado tutto interiore. Di una Shangri-La dello struggimento affettivo.

Ecco. In Pinocchio, che è il mio Libro, c'è il desiderio inesausto, la ricerca disperata, una insostituibile umanità fatta di facce e storie conosciute destinate ad appartenermi per sempre. Le storie e le facce di una piccola città, di un piccolo quartiere, di una piccola strada.

Le storie e le facce che oggi sono percorse dal tempo, dai disinganni, dalle perdite, e da tutte le lacerazioni che la vita è capace di dare. Ma che a dispetto di ogni cosa sono disposte ancora a sorridermi tutte le volte che in quella strada io ritorno dalla lontananza che ho inseguito, e che mi sono scelto. E che ripetono sempre, a chi da più di vent'anni divide con me questo viaggio nella vita: "L'abbiamo cresciuto noi!". Sempre.

Ecco quello che volevo dire. Se qualche volta ho la presunzione di costruire delle storie, e di raccontarle in un modo o in un altro, sono storie che appartengono a un microcosmo. E alla fine racconto della mia periferica strada di una piccola città di provincia. Anche se non la nomino. Anche se la colloco altrove.

Racconto di quello che ha cominciato a insegnarmi, in un giorno di quarantasei anni fa, uno scrittore geniale che si chiama Carlo Lorenzini. Ma che tutto il mondo conosce come Collodi. Dal nome del piccolo borgo dove era nata la madre.


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