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Collaboro dal 1993 con la rivista "Segnocinema". Amo l'appennino pistoiese, l'Aglianico del Vulture, i miei amici. Tengo per il Toro, e sono un lettore pressoché onnivoro. Ho scritto due romanzi, 'Ho una storia per te' e 'L'odore della polvere da sparo', entrambi pubblicati da Edizioni Spartaco.

martedì 19 ottobre 2010

"Lei è tutto spettinato..."

Ho riletto in questi giorni, credo per la quarta o quinta volta, Microcosmi di Claudio Magris.

Questo libro, per il quale le definizioni di romanzo e di saggio sono limitanti, ha per me il valore di costante punto d'approdo a cui non so - e a cui non voglio - rinunciare.

L’idea che più mi affascina, e che percorre ogni pagina del libro, riguarda la possibilità di raccontare il mondo tenendo ben saldi, davanti ai propri occhi e nel proprio cuore, luoghi volti storie di un ambiente noto da sempre e perciò circoscritto. Una letteratura capace di rendere universali gli spazi, i pensieri, le esperienze esemplari o epiche o banalmente quotidiane di ogni individuo è una letteratura nella quale io mi perdo completamente. E alla quale affido sempre, con malcelata presunzione, il compito di confermare la mia maniera di guardare alla vita e al mondo nei quali passo, come tutti, da ospite.

Molte di queste cose mi pare però di averle già dette nell’ultimo post. E comunque: se l’emozione che ogni volta mi procura questo libro di Magris è per me addirittura paralizzante, perché non ripetere cose già dette? E allora ridiciamole, va’.

Microcosmi è un libro struggente. Un libro che insegue la vita in ogni volto noto, in ogni storia all’apparenza banale, in un amore che è stato capace di riempire un’intera vita e di accompagnarla nelle sue inevitabili scosse o nei suoi momenti di gratificante bonaccia.

Un libro che coglie il sapore insostituibile dell’esistenza in ogni suo momento e in ogni sua espressione. Nel viaggio attraverso i confini dell’anima e della Storia (in questo caso Trieste e il mondo sul quale si affaccia…ma ognuno può rivedere in quei confini e in quella Storia, i confini della propria anima e della propria Storia), o nelle soste ai tavoli di un caffè a mirare l’umanità intorno. A sentirne il brusio che si interroga su tutto e che su tutto risponde. Che parla di ogni cosa. Del più e del meno; di questo e quello; del romanzo già scritto e di quello a cui invece si lavora da una vita. Della “giusta pressione della birra”. Delle tardive conquiste erotiche di un attempato signore che, à rebours, salda i conti con una giovinezza timida e acerba vivendo finalmente quei momenti di intimità che le sue amiche di un tempo gli avevano negato con disattenzione ma che ora, a distanza di decenni, gli elargiscono con la sapienza e l’attenzione della maturità.
Claudio Magris. Foto tratta dal web
In ognuna di queste cose risiede la profonda unità dell’esistenza. Anche nel tono deciso - e che non ammette contraddittorio - con cui l’anziana signora apostrofa, al tavolo del celebre caffè, il giovane professore di Letteratura tedesca intento al suo lavoro: “Lei è tutto spettinato, vada alla toilette a rassettarsi”.

Me ne rendo conto. È inopportuno e rischia di essere un balbettio, il mio tentativo di recuperare l’abissale profondità di questo libro. Ma almeno una cosa voglio dirla. Gli ultimi due capitoli. Ah…gli ultimi due capitoli. Lo so, senza il punto esclamativo comunico l’impressione di aver ricordato solo all’ultimo momento qualcosa di necessario. Ma non è così.

Mi piacerebbe essere capace di raccontare con il giusto tono, non imperioso ma malinconico e disincantato, l’abbandono al fluire della vita; la fiducia incondizionata con cui ci si affida - anche su uno sfondo che va oltre  la nostra breve e incerta permanenza in questa mondo -  alle persone che si ama e dalle quali si è riamati. A me pare che su queste cose Magris sia stato capace di scrivere pagine di una dolcezza inarrivabile. Ancora le voci, i volti, le immagini che hanno riempito la vita. Il timore e il tremore di quell’ultimo inevitabile passaggio in cui l’intero senso di un’esistenza, di ogni esistenza, trova il suo compimento.

Mi va di rileggerle ancora una volta, quelle ultime righe, e mi va di rileggerle con voi:

Bisognava saltare attraverso quei cerchi, e le loro lingue di fuoco, per tuffarsi in quel mare. Lui non voleva, si aggrappava alla colonna, stringeva e sbriciolava qualche foglia bagnata che non capiva come si trovasse lì per terra. Salta, gli dicevano, però lui si tirava indietro. “Vedrai, non è niente”, ma quella era un’altra voce, anzi due voci, quasi identiche alla sua, i figli, che avevano riempito la casa, i giorni, la vita, e gli dicevano di non aver paura. Ma allora tutto è a posto, si sentì dire, possiamo saltare, e la prese per mano, mentre padre Guido si avviava all’altare e iniziava la funzione della sera.

3 commenti:

  1. Beh, dovrò leggerlo prima o poi... se è malinconico, non posso farne a meno! Elena

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  2. purtroppo non conosco magris: credo che inizierò a leggerlo proprio con questo testo che ti ha tanto colpito :)

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  3. @Hob03: per quel che mi riguarda credo che sia il testo migliore per avvicinarsi a Magris. Poi spero che anche per te verranno tutti gli altri, compresi i suoi saggi, e compreso "Danubio" che in genere è considerato il suo "capolavoro". Ovviamente io sono di parte, visto che considero Magris un autentico punto di riferimento.
    Poi fammi sapere le tue impressioni su "Microcosmi".
    Un caro saluto

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